Veneti, alluvionati e dimenticati

«Tre morti. Migliaia di sfollati. Colpiti pesantemente l'agricoltura, l'industria, gli esercizi commerciali, le infrastrutture, i privati. Danni per miliardi di euro. Il Veneto è in ginocchio, ma non è stato sufficiente a far sì che si guadagnasse un posto nelle prime pagine della stampa nazionale. Cos'altro sarebbe dovuto succedere?» esordisce con queste parole l'editoriale comune dei settimanali diocesani del Veneto, in uscita domenica prossima.

 

Un testo e un richiamo di denuncia alla scarsa attenzione che la cronaca nazionale ha rivolto al dramma che ha coinvolto la regione: «La scorsa settimana in tutto il Veneto, e in particolare a Vicenza, Verona, Padova, nella porzione di Veneto orientale tra il Piave e il Livenza, si sono visti scenari apocalittici - prosegue il testo - Ma i media nazionali hanno per lo più parlato del cattivo tempo sui territori del Nordest, riducendo il tutto a un problema meteorologico. Ora, mentre continua la conta dei danni, mentre i veneti, maniche rigirate, stivaloni e ramazza, si danno da fare per salvare il salvabile, mentre comincia la ricerca delle responsabilità, ci si chiede la ragione di così poca attenzione».

 

E gli interrogativi si rincorrono: «Forse perché i morti sono stati 'solo' tre? Forse il Veneto proietta all'esterno l'immagine di una regione autosufficiente, che non necessita di aiuti esterni?».

 

Come pure la disamina sconcertante della situazione: «Si è dovuti arrivare alla protesta degli industriali, con la minaccia di non pagare le tasse, per avere un posto al sole, quasi che la nostra terra faccia notizia solo quando viene associata ai 'schei'. Insomma troppo benestante per essere in condizione di necessità. La realtà è che il Veneto è stato ancora una volta ignorato, derubricato a priori dalle questioni nazionali. L'alluvione? I veneti se la sanno cavare. Neppure i politici nazionali hanno saputo cogliere che questa volta vicentini, padovani e veronesi sono davvero in difficoltà e bisognosi di tutto.

Bisogno innanzitutto di vicinanza, di non sentirsi soli perché il non sentirsi dimenticati è il primo fattore d'incoraggiamento. Bisogno di beni essenziali come generi alimentari, vestiario, coperte. Bisogno di sostegno economico per ricominciare a guardare al futuro al di là delle nuvole - mentre scriviamo - ancora cariche d'acqua e ripartire.

Sul territorio è scattata una solidarietà esemplare: moltissimi giovani e adulti si sono messi a disposizione per togliere il fango, pulire case, aziende, scuole, strade, piazze, aiutare le persone a ritornare con fatica alla normalità. I veneti si sono rimboccati le maniche e molti immigrati hanno aiutato, dimostrandosi così, concretamente, forse più affezionati alla loro Italia, di tanti nostri illustri esponenti.

Nessun politico di rilievo (di nessun partito) si è precipitato nei Comuni colpiti nei giorni immediatamente successivi al disastro, ha percorso le strade inzuppate d'acqua, ha visitato famiglie o imprenditori, ha espresso vicinanza agli amministratori che da giorni sono accanto alla propria gente. Il fragore del caso Ruby, della crisi politica strisciante ha avuto nettamente il sopravvento su una tragedia affrontata dai veneti senza rumore e senza clamore. Dopo quasi una settimana sono arrivati il Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi ed Enrico Letta del Pd. Poi, mano a mano che al Nord cresceva l'insofferenza, i palazzi della politica si sono accorti del disastro, e così finalmente si sono fatti vedere il premier Berlusconi con il ministro Bossi, e il presidente della Repubblica Napolitano ha deciso di incontrare anche i sindaci nel corso della sua programmata visita a Padova.

C'è da chiedersi cosa sarebbe successo se l'alluvione fosse avvenuta a Torino o a Milano, piuttosto che a Napoli o a Palermo: si sarebbe registrato lo stesso silenzio assordante della classe dirigente nazionale? Le popolazioni avrebbero sperimentato la medesima solitudine?

È una solitudine pesante già registrata in altre situazioni, come quelle che riguardano le aree di montagna che da tempo denunciano un vissuto di abbandono, di non considerazione. Ma è una solitudine che interroga anche sul nostro modo di porci come veneti nei confronti dell'Italia: slogan del tipo 'il Veneto ai veneti' aiutano a farci sentire parte della medesima comunità? E soprattutto è una solitudine che rischia di allargare la voragine già esistente tra cittadini e politica nazionale, tra un Veneto laborioso che chiede di non essere lasciato solo e uno Stato che fatica a rendersi presente in modo credibile e riconoscibile».

 

 

CS 202/2010

Padova, 10 novembre 2010

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