«È la missione che fa la Chiesa» è il titolo del docu-film realizzato dall’Ufficio diocesano di Pastorale della Missione di Padova per raccontare e documentare quasi 70 anni di missione ad gentes della Chiesa di Padova, che sarà presentato domenica 10 giugno alla Festa della Missione in programma alla sala polivalente Don Bosco, in via San Camillo de’ Lellis a Padova (inizio ore 15.30).
Un titolo emblematico perché senza missione non c’è Chiesa. E lo Spirito chiama sempre ad “andare”.
Tant’è che la Chiesa di Padova, che attualmente vede 17 missionari fidei donum (14 preti e 3 laici) nelle missioni diocesane in Brasile, Kenya, Ecuador e Thailandia, si appresta a inviare altri tre fidei donum (due preti e una laica) in una nuova terra di missione, aprendo una missione diocesana nella Prefettura di Robe in Etiopia, una terra di prima evangelizzazione dove da due anni opera anche come missionario il vescovo emerito di Padova, Antonio Mattiazzo, e la presenza cattolica è intorno allo 0,03%.
L’annuncio dell’avvio della nuova missione diocesana in Etiopia arriva dal vescovo di Padova mons. Claudio Cipolla, che proprio di recente ha destinato due preti per questa missione nascente. Partiranno, destinazione Kokossa, capoluogo della provincia di West Arsi su un altopiano a 2670 metri sul livello del mare: don Stefano Ferraretto, originario di Ponso (Pd), classe 1983, prete dal 2008 e attualmente assistente in Seminario Maggiore e don Nicola De Guio, attualmente parroco moderatore dell’unità pastorale di Canove (Vi), originario di Mezzaselva di Roana, sull’Altopiano di Asiago, classe 1970 e già missionario in Ecuador dal 2002 al 2013. Accanto a loro Elisabetta Corà, una giovane 24enne di Asiago (Vi), laureata in teologia alla Facoltà teologica del Triveneto, con una tesi dal titolo “I ministeri dei fedeli laici. Acquisizioni a partire da Per una teologia del laicato di Y.M-J. Congar”. Dopo l’estate tutti e tre vivranno prima un periodo di formazione al Cum (Centro unitario missionario) di Verona, quindi qualche mese di studio della lingua inglese e a gennaio 2019 saranno ad Addis Abeba per studiare la lingua oromo, in modo da potersi destreggiare per essere operativi qualche mese dopo a Kokossa.
La missione in Etiopia nasce dopo un lungo tempo di discernimento che il vescovo Claudio Cipolla definisce «una chiamata rivolta alla nostra diocesi».
«Ho vissuto questa scelta – commenta mons. Cipolla – come obbedienza a una chiamata rivolta alla nostra Diocesi: la chiamata si è manifestata lungo una storia che è iniziata ancora con il vescovo Antonio, ben prima della mia venuta. È stata accolta con un cammino di condivisione, di verifica e di decisione condiviso con il presbiterio e culminato in un parere pressoché unanime che mi è stato dato nel Consiglio presbiterale dell’11 maggio 2017. Penso che le chiamate del Signore abbiano le caratteristiche della nostra storia umana, delle persone concrete che incontriamo, dei bisogni e delle necessità che si manifestano in questi precisi momenti».
Ma sottolinea il vescovo tutto ciò si inserisce in un cammino della Chiesa universale: «Se la mia decisione è presa in obbedienza alla nostra Chiesa diocesana, la nostra Chiesa accoglie una chiamata che viene dai poveri di cui padre Angelo Antolini, prefetto apostolico di Robe, si è fatto interprete; ma viene anche dalla Chiesa universale che ha indicato l’Etiopia come una delle realtà missionarie da privilegiare e che ci ha direttamente interpellati tramite il Prefetto del dicastero sull’evangelizzazione dei popoli, che ha visto nella storia missionaria della Chiesa di Padova, l’esperienza e la capacità generativa di nuovi frutti di vangelo, tra i poveri più poveri».
«In questi percorsi – prosegue il vescovo Claudio – noi cristiani vediamo la compagnia del Signore e l’azione del suo Spirito che continuamente ci invita a farci carico delle persone e delle comunità più in difficoltà».
Essere aperti alla missione è elemento costituente dell’essere cristiano ricorda mons. Cipolla: «Ogni cristiano è missionario ed è incaricato di annunciare il vangelo nei suoi ambiti di vita. Essere chiesa in missione oggi spiritualmente significa accettare di essere mandati da qualcun altro, per noi è il Signore. In questo linea oggi si fa urgente ri-evangelizzare l’Occidente, le nostre città, la nostra cultura. Anche il nostro è terreno di missione. D’altra parte ci sentiamo responsabili dell’annuncio a tutti gli uomini del mondo e anche la nostra Chiesa locale si sente chiamata ad andare ovunque ci sia l’opportunità di parlare del Vangelo, soprattutto dove ci sono situazioni di povertà. Anche alla luce del fatto che abbiamo maturato capacità e sensibilità che fanno percepire un privilegio evangelico lo stare con i poveri».
In tempi di carenza di vocazioni presbiterali – ne è testimonianza l’ordinazione nei giorni scorsi di un unico prete diocesano – dedicare due preti alla missione ad gentes è il segno «che la missione fa parte della nostra vita. I due preti che andranno in Etiopia si aggiungono agli altri due che in questi mesi sono partiti uno per l’Ecuador e l’altro per lo Stato di Roraima in Amazzonia. Abbiamo anche la gioia di avere vocazioni missionarie e riconoscere i carismi che il Signore dona alla sua Chiesa è molto importante. La presenza poi di una giovane donna ci dice anche che la vita è importante e che va dedicata per grandi missioni e grandi ideali. I giovani ancora ne sono capaci e vanno incoraggiati. La vita è nella gioia quando è trascorsa nella generosità e nel dono di sé. Chi “parte” fa una bella esperienza, ma anche chi rimane in Italia può lasciarsi guidare dal Vangelo e donare la sua vita. L’importante è trovare la propria strada».
CS 172/2018
Padova, 6 giugno 2018